Andrà tutto bene?

Articolo redatto per l’edizione di Tufo al cuore di dicembre 2021

In questi due anni di pandemia molte persone, me compreso, sono state travolte da webinar, convegni virtuali e talk che si interrogavano sul destino del pianeta, declinati ognuno per il proprio settore di competenza. Quando avviene un fatto che sconvolge un pianeta intero è normale porsi dei dubbi, in particolare sul percorso intrapreso fino ad oggi. È valso per l’11 settembre, per il terrorismo globale, vale oggi per la pandemia e per il cambiamento climatico. Vale per i massimi sistemi, come per quelli più piccoli. D’altra parte la società altro non è che una serie di ingranaggi più grandi e più piccoli, che dipendono o meno gli uni dagli altri. 

Alcuni interrogativi, seppur timidamente rispetto a chi di mestiere deve trovare risposte più complesse, ce li siamo posti anche sul Palio, magari in qualche chat, sui giornali, durante qualche cena. C’è chi ha provato, come ha fatto il Comitato Amici del Palio, ad offrire uno spazio pubblico a chi aveva qualcosa da dire sul futuro del Palio e di Siena. I risultati si vedranno più avanti, ma la partecipazione è stata tale da rendere il progetto decisamente interessante. Spazziamo però il campo da ogni dubbio: il Comitato Amici del Palio non offre soluzioni, cerca – e lo fa instancabilmente da più di 70 anni – di dare stimoli per migliorare e per preservare quell’unicità che sono le Contrade ed il Palio di Siena.

In un momento storico così delicato, come quello che stiamo vivendo dal marzo dello scorso anno, era infatti doveroso soffermarsi ad analizzare lo stato di salute della nostra realtà e provare almeno a capire la complessità dietro alcune domande che si sono susseguite in questi mesi.

“La Contrada vive senza Palio oppure no?” Quante volte l’abbiamo sentito dire. C’è chi dice che ancora un po’ le Contrade senza fare il Palio potranno vivere, chi vede questo lasso di tempo già superato e chi invece, cinicamente, vede nel Palio l’unica fonte di vita per le Contrade stesse.

La questione che si va delineando dietro ad una domanda come questa è estremamente complessa. Ma cosa si intende oggi per Contrada?

Le prime testimonianze dell’esistenza della Contrade risalgono al XV secolo, quando le stesse si affacciano ai giochi che si svolgono in città organizzati dalla nobiltà per le festività religiose. Il ruolo sociale all’interno della città è esclusivamente limitato ad alcune forme di supporto economico per gli abitanti i rispettivi rioni: le Contrade hanno, in pratica, la sola funzione di partecipare ai giochi e di onorare la festività religiosa del proprio territorio. Mentre il Palio va consolidandosi nei suoi aspetti organizzativi, sulla spinta della prima Internazionale Socialista (1864), sorgono in Italia le prime società di mutuo soccorso e nascono così le Società di Contrada: è il segnale che le Contrade possono avere una vita parallela al Palio. Dal secondo dopoguerra, grazie al benessere diffuso, le cose iniziano a cambiare: le persone cercano abitazioni migliori fuori dal centro cittadino, impoverendo così il tessuto urbano storico – negli anni ’30 circa il 70% dei residenti stava in centro, oggi è l’esatto contrario –  e le Società diventano un punto focale della vita della Contrada. Se si escludono i giorni del Palio ed altre occasioni sporadiche, qui si svolge la quasi totalità degli eventi. 

Fin qui tutto bene. Le conquiste sociali e lo sviluppo delle Contrade è proseguito, fra alti e bassi, in maniera costante. Poi è arrivato il world wide web (Internet).

Con il dilagare della tecnologia e della virtualità, arrivate almeno venti anni prima del Covid 19, viene di fatto abbattuto il bisogno fisiologico della socialità in presenza: ci vediamo e ci frequentiamo molto meno perché ci raggiungiamo lo stesso attraverso i vari devices che abbiamo sempre a portata di mano. La virtualità inoltre ci dà la possibilità di stare connessi h24 con le persone lontane migliaia di kilometri e di vedere cosa c’è oltre le mura. Per chi è nato prima degli anni ’90, pare quasi un miraggio. Le Società perdono così quel ruolo di punto di riferimento primario. Per fare Contrada ci sono le chat ed i social, con il dettaglio – di non poco conto – che nel virtuale si vive in una sorta di compartimento stagno: parliamo solo con chi vogliamo e non ci apriamo agli altri. 

Venendo meno la quotidianità, ma essendo le persone allo stesso tempo “animali sociali” che hanno bisogno di contatto fisico, sono aumentati a dismisura gli appuntamenti culinari:  cene, cenini, cenoni, settimane gastronomiche, pranzi e merende. Ci facciamo vedere – o quasi – solo in queste occasioni, come fosse l’unica cosa che ci tiene legati alla Contrada. I motivi dietro a questo cambio di paradigma sono vari: si va dalla sopracitata e nobile funzione aggregativa fino a quella meramente economica (si legga profitto), passando per il cambiamento radicale del tempo libero, oggi più che mai vissuto solo in termini di monetizzazione e consumismo, in parole povere: esco se acquisto – merci o prestazioni – altrimenti me ne sto a casa.

Se a tutto questo ci sommiamo che la città si deve reinventare altre forme di reddito per superare la crisi della mono economia bancaria, che le città artistiche in generale rischiano l’”effetto Venezia”(museo a cielo aperto  con aumento di ristoranti/b&b, fuga dal centro dei servizi essenziali, etc) e che la società globale è indirizzata sempre di più verso il trionfo dell’individualismo, la frittata pare già servita sul piatto.

Solitamente, quando una realtà comunitaria entra in crisi, la cosa più semplice da fare è chiudersi. È più facile preservare l’esistente ed esaltare il passato, che immaginarsi il futuro. Così, anche un mondo come quello delle Contrade, da sempre proiettato in avanti, rischia di diventare un feudo di retroguardia.

Credo invece sia necessario aprirsi, immaginare nuove strade e valutare progetti alternativi, anche rischiando di sovvertire l’ordine naturale delle regole non scritte che ci hanno portato fino ad oggi. Dobbiamo cavalcare il presente e le sue sfaccettature per non rimanere nell’impasse dell’anacronismo, pur mantenendo inalterate le peculiarità che ci hanno contraddistinto da cinque secoli a questa parte. A volere insistentemente tutto questo devono essere i giovani, essendo gli unici che posseggono le chiavi per aprire le porte del futuro. E lo possono fare solo attraverso la collaborazione e la partecipazione delle istituzioni pubbliche e private più importanti, a partire dall’amministrazione comunale che determina, ad esempio, le scelte abitative, quelle del traffico, del flusso turistico e della gestione dei trasporti.

L’alternativa è l’attrazione folkloristica. E in quel caso non sarà andato tutto bene.